Una tazza di te nero

Foto di valentinanonseitu
Anna si sentiva leggera.

Finalmente dopo un anno aveva deciso di oltrepassare il buio, di sfondare quelle mura che tanto l’avevano tenuta imprigionata in quel luogo solitario, angusto, troppo stretto anche solo per alzarsi in piedi e muovere un passo. 

Era stata rannicchiata per così tanto tempo che ora aveva voglia di camminare, senza meta, nonostante i muscoli atrofizzati le facessero male.

Un giorno si era svegliata e da un piccolo foro nel muro aveva visto la luce. Un raggio debole e fioco, una speranza.

Così aveva raccolto a sé tutte le forze rimastale e spinto con inaudito vigore quelle pietre consumate e grigie. Non era stato poi così difficile, era bastato decidere di farlo, volerlo con ogni cellula del suo corpo e i massi, si erano sgretolati come meringhe calde appena sfornate.

Certo, la similitudine sembrava abbastanza ardita ma aveva una gran fame!

Fame di cose genuine e vere, fatte da mani appassionate e amorevoli. Voleva profumi che le ricordassero l’infanzia, sapori rassicuranti, protetti dai ricordi.

“Adesso uscirò, cercherò un bistrot con della gente, magari non troppo affollato, e ordinerò una tazza di te nero bollente e uno scoones tiepido alla cannella con marmellata di fragole e panna!”

Questo sarebbe stato il primo obiettivo della giornata -fare piccoli passi- così le aveva sempre detto la sua psichiatra – piccoli passi e piccoli progetti che ti porteranno lontano –

Guardò fuori dalla finestra, il cielo era plumbeo ma non pioveva. L’aprì, l’aria frizzante le accarezzò la faccia. Il freddo non era pungente, nove gradi erano tanti per una giornata invernale, una giacca leggera le sarebbe bastata.

Prima di chiudere le ante, diede un ultimo sguardo fuori.

C’era un’energia strana tra le nuvole che scorrevano rapide, la via era vuota eppure qualcosa in quel silenzio la stimolava. Qualcosa sembrava solleticarle la voglia di vivere e sentiva dissolversi il torpore come un’aspirina si scioglie in un bicchiere d’acqua.

Prese un vigoroso respiro e molto lentamente dissipò tutto il male che la stava consumando. Un pesante soffio, infinito. Fino a svuotare completamente i polmoni. Fino a che anche l’ultima molecola di rabbia, dolore e indignazione non fosse volata via.

Dieci secondi che si dilatarono dentro un paesaggio grigio e mutevole, in un tempo impreciso, immobile, morto.

Allungò le braccia e fece un gesto con le mani, come per racchiudere una lucciola tra i palmi e vederla, da vicino, brillare. Ma le sue luci si erano spente da tempo e quello che aveva catturato era solo un pugno di niente. Aria viziata e densa. 

E’ strano come ci si abitui alla sofferenza e s’indugi tanto a farla andare via….

Rovesciò i palmi all’ingiù e osservò il suo passato colarle tra le dita.

Gocce grasse e torbide strisciarono tra gli interstizi della pelle fino ad allungarsi in fili sottili e fragili.

Quando si spezzarono, capì che era veramente finita.

Voltò le spalle al passato e uscì.


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